L’8 giugno del 2014 il nostro Pino Capellini ricordava sul giornale, Sandro Zambetti, morto due giorni prima. Diceva che fu proprio Zambetti a guidare i suoi «primi passi» nel mondo del giornalismo. Gli insegnò a sostituire i «bei periodini con tutte le subordinate al loro posto» che era abituato a usare, con le frasi sintetiche tipiche dello stile giornalistico. Zambetti dedicò la sua vita al cinema e al giornalismo. Si laureò in lettere a Milano, lavorò all’Eco di Bergamo e ne divenne caporedattore. «Era meglio di una pacca sulle spalle», diceva Capellini, «soprattutto nelle situazioni più complicate». Dedito al lavoro, «fino a tarda notte scriveva, leggeva, tagliava, faceva titoli, si informava, chiedeva, discuteva, impaginava». Rappresentava inoltre un punto di riferimento per i personaggi dei cineforum e dei cineclub. Bergamo era, ai tempi, una città molto importante per il cinema. Ogni notte, al cinema Arlecchino venivano proiettati, solo per i redattori dei due quotidiani della città, dei film. Si diceva che un film, se apprezzato dai redattori di Bergamo, si sarebbe sicuramente rivelato un successo in tutta Italia. Zambetti era appassionato di cinema e dedicava quindi molto tempo a discussioni animate sui film appena usciti, partecipando attivamente al mondo della critica cinematografica. Basti pensare al dibattito da lui organizzato all’uscita del film «La Dolce Vita», che durò molte settimane e che sfociò in pesanti litigi. Abbandonata Bergamo, Zambetti si trasferì a Torino, e diventò redattore capo della Gazzetta del Popolo. Non smise mai di dedicarsi alla critica cinematografica. Fu infatti direttore della rivista cinematografica «Cineforum» e gestì il festival cinematografico «Bergamo Film Meeting», di cui fu anche presidente per 25 anni. Ricoprì inoltre il ruolo di presidente della «Fondazione Alasca».
Archivio de L’Eco di Bergamo